lunes, 9 de noviembre de 2009

Federigo Tozzi y Carlos Cámara


La stessa donna

Quando i due amici si rividero dopo tre anni, ebbero quasi vergogna di se stessi: benché si fossero scritti sempre, era come una riconciliazione timida, che li molestava.

E Raffaello, per tentare l'amicizia di Felice, gli chiese:

– Che hai fatto in tutto questo tempo?

Felice, con un'ostilità involontaria, rispose:

– Lo sai.

E allora ebbero voglia di rimescolare insieme tutti i loro sentimenti. Il tempo della lontananza si scorciava sempre di più, rapidamente. Ma non si dicevano nulla. Stavano bene insieme, e basta.

– Guarda: piove!

Guardarono insieme la pioggia, quasi con gli stessi occhi; e, poi, Felice disse come per fare un confronto ironico:

– Ti ricordi di quando ci ammollavamo per ore intere?

E desiderarono, ambedue, che piovesse; perché avevano bisogno di credere che non si sarebbero separati troppo presto. Felice era stato sul punto di prendere moglie. Raffaello lo sapeva e vi pensava con un fremito di curiosità. Ma felice non voleva parlarne; perché amava ancora. E Raffaello soffriva in vece che non gliene parlasse. Alla fine, chiese:

– Perché non hai preso moglie?

Felice gli strinse una mano e gli disse:

– Un giorno lo saprai.

L'altro lo guardò.

– Lo vuoi sapere subito? Non mi riesce a parlarne con calma, a te.

– Ma le hai voluto bene da vero?

Felice poteva dire la verità, ma sentì che doveva rispondere di no. Egli doveva parlargli di questa donna non secondo la verità, ma secondo quel che in quel momento gli faceva piacere. E gli pareva, perciò, d'essere più buono con il suo amico.

– Io – disse Raffaello – ho continuato sempre la vita che anche tu una volta facevi insieme a me.

E mentì anche lui, perché gli dispiaceva raccontare la verità. Ognuno di loro doveva dissimulare. Ora, la loro amicizia li molestava da vero: era come una sorpresa della loro coscienza. Sentivano che, se fossero stati sempre insieme, avrebbero vissuto in un altro modo. Ma il passato parve loro egualmente dolce e tanto intimo. La pioggia seguitava, sempre più forte; come se avesse avuto fretta di distruggere tutti i loro ricordi che formavano i loro sentimenti. Raffaello tentò di cambiare discorso:

– È bella la città dove ora stai?

Ma Felice pensava troppo al suo amore, e perciò non rispose. Non riesciva più a dimenticarsene; e si alzò, impallidendo. Raffaello disse:

– Anch'io soffro!

– Come ci avvengono le stesse cose! Io capisco che anche tu hai amato.

– Ma ho voluto vincermi.

– E perché non me ne hai scritto niente?

– Perché tu mi parlavi di te, e io non volevo dirti che anch'io ero come te.

– Proprio come me?

Si misero a ridere. Poi Raffaello disse:

– È meglio parlare d'altro.

– Non ci riesce.

Il caffè, dov'erano, s'empiva di gente; che v'entrava per ripararsi dalla pioggia. I due grandi specchi messi alle pareti riflettevano la gente e i tavolini; come se anche essi avessero ripreso a fare qualche cosa; quello che dovevano far sempre. Giacché erano gli specchi di un caffè, pareva che avessero l'incarico di accogliere subito la gente. Alcuni giovani entrarono nella stanza dei bigliardi, e si sentirono poco dopo i colpi dei birilli. A un tavolino, coperto con un piccolo tappeto verde, giocavano a carte; a un altro, sfogliavano i giornali illustrati, fumando. Lungo le pareti verniciate di bianco, stavano i divani coperti di velluto rosso. Nel caffè c'era una certa allegria un poco sommessa.

Felice disse, con un'allegria più nervosa:

– Se io avessi preso moglie, non sarei più tornato a Roma.

L'amico rispose, come si fosse trattato di una bravata:

– Sarei venuto io a trovarti.

Felice, di rimando, come se parlasse chi sa di quali paesi lontani, gli chiese:

– Fino a Bologna?

Allora ci presero gusto, benché con sospetto.

– Certo: qualche volta, avrei avuto modo di venire. Ma chi è, dunque, questa donna che volevi sposare? È una principessa?

Ad un tratto, allora, sentirono che la voce si cambiava:

– L'hai conosciuta anche tu.

L'amico, istintivamente, si vendicò:

– Anche tu hai conosciuto la mia.

Risero tutti e due, ma con una certa paura. Ormai, era certo che si sarebbero detti il nome. Sentivano ch'era male; ma Felice non si tenne:

– Si chiama Ines.

Raffaello ebbe una scossa di rabbia; e disse sottovoce:

– Era Ines?

– Lei.

Raffaello voleva ridere e non poteva. Continuò, invece, a vendicarsi quasi balbettando:

– E non ti ha detto mai che ne ero innamorato io, prima che venisse a Bologna?

Ma Felice era più mite.

– Mai.

Poi si passò una mano su gli occhi, e disse:

– Ora mi sembra un'allucinazione.

Raffaello taceva, esasperato e dolente.

– Bisognerebbe ritrovarla insieme. So che è a Roma.

– Andiamo subito a cercarla.

– Ma, prima, raccontiamoci tutto.

Era come se si aiutassero a rivederla insieme; era come se l'amassero insieme, senza pensare a togliersela l'uno all'altro.

Felice si sentiva come un colpevole; e restarono un pezzo senza potersi parlare e né meno guardare. Credevano anche che si dovesse rompere la loro amicizia; e ciascuno ripensava ad Ines secondo come gli era sembrata. Ma nessuno dei due si figurava che Ines era andata dall'uno all'altro soltanto per il capriccio di farsi amare da due amici così sinceri tra sé. Ella già aveva calcolato di non essere né dell'uno né dell'altro.

Ma anch'ella, più che per civetteria, aveva voluto far questa prova con una certa serietà; quasi con il desiderio di far piacere a tutti e due appunto perché si volevano bene. Quando aveva capito che il sentimento era da vero per comprometterla, trovava il modo di allontanarsi; e tutto per lei restava una specie di amicizia un poco sensuale; senza ch'ella volesse rendersi conto che i due giovani s'erano lasciati prendere da un sentimento molto più profondo e di un'altra natura. Da ultimo se n'era pentita; e desiderava non incontrarli più. Era bionda e magra; e bella quando sorrideva.

Ora, lì, in quel caffè, dove la gente entrava tutta bagnata di pioggia, essi silenziosamente se la competevano per difenderla e per odiarla nello stesso tempo. Raffaello disse:

– Ti riesce a capire perché ha fatto così con tutti e due?

– Io non lo so; ma non me ne parlare.

Felice si sentiva, all'improvviso, pieno di gelosia. E, quando doveva convincersi ch'ella non lo aveva amato di più, soffriva. Egli sarebbe andato a trovarla, ma solo; per farsi amare e per toglierla tutta all'amico. Ma avrebbe voluto toglierla perfino dal ricordo; e questo non era possibile.

Anche Raffaello aveva lo stesso diritto; e perciò si sentiva furioso e ridicolo. Avrebbe desiderato che si trattasse soltanto di un sogno morboso. Raffaello aveva tutto il suo amor proprio sottosopra; si riteneva il più tradito, e perciò era quello che odiava di più Ines. Quantunque, contro la sua volontà, gli piacesse pensare ch'egli l'aveva amata prima di Felice.

Guardando la gente agli altri tavolini; credevano di essere beffati. Si fermarono, perciò, a guardare le bocche che sorridevano; i gesti e i movimenti.

Ma Felice chiese:

– Che colpa ne abbiamo tra noi?

Raffaello avrebbe voluto rispondere male; ma sentiva che non poteva; e, a suo malgrado, dovette essere buono anche lui. E rispose:

– Nessuna.

– Perché, dunque, non ci parliamo più?

– Io credo che abbiamo pensato le stesse cose.

Non riescivano però ancora a guardarsi negli occhi, perché erano in collera; e bastava che tacessero un poco perché il loro risentimento ripigliasse il sopravvento. Ambedue si sentivano in balia della stessa cosa cattiva e spiacevole. Volevano mandarla via, subito; e non era possibile.

– Le riparlerai mai più?

Raffaello fu preso da una gran voglia di essere sincero, che lo scuoteva tutto.

– Mai.

– Né meno io.

E, vedendosi negli occhi, capirono che ambedue erano stati afflitti fino in fondo; ambedue volevano togliersi dall'anima questa colpa involontaria. Allora, Raffaello disse:

– Andiamo insieme a casa mia, e bruciamo tutto ciò che serbiamo di lei: lettere, fiori, fotografie, i libri regalati... Vuoi?

Felice non voleva averla amata in vano. Ma acconsentì.

Pagarono e escirono; sotto lo stesso ombrello. Prima, Felice passò dall'albergo, dove teneva le valigie; e prese tutto ciò che aveva di Ines.

Le mani gli tremavano, ma si sforzava di ridere.

In casa di Raffaello misero tutto insieme; sopra un tavolino. Felice cercava di non guardare più; e lasciava fare all'altro. Ma anche l'altro non era più forte; e i suoi occhi s'inumidivano di lacrime. Avrebbe desiderato che fosse stato Felice a buttare tutte quelle cose dentro il caminetto; che ardeva come se aspettasse per fare la fiamma più grande.

– Pigliamo quel che è sul tavolino con le nostre mani insieme.

Felice obbedì; ma, al contatto delle mani di Raffaello, discostò le sue; con avversione. L'altro se ne accorse, e cercò di affrettare. Le lettere e i libri cominciarono a fiammeggiare, dopo aver fatto un fumo denso che esciva fuori della stufa.

– Anche le fotografie?

– Anche quelle.

Le videro tra le fiamme, come se fossero andate a rifugiarsi tra le pagine ancora intatte. Poi, dopo essersi tese al calore, si piegarono; divennero irriconoscibili; si bruciarono, quasi senza fiamma. I libri, con le pagine mangiate dal fuoco, s'appiattivano sempre di più, aprendosi e incenerendosi.

Essi non avevano tolto gli occhi dal caminetto; sentendosi troppo vicini l'uno all'altro.

E quando si fissarono in viso, i loro sguardi erano pieni di odio violento.

Felice, allora, si mise il cappello ed escì; perché ambedue si vergognavano a non avere la forza di uccidere.

FEDERIGO TOZZI


La misma mujer

Cuando los dos amigos volvieron a verse al cabo de tres años, casi tuvieron vergüenza de sí mismos: aunque siempre se habían escrito, era como una reconciliación tímida, que les molestaba.

Y Rafael, para sondear la amistad de Félix, le preguntó:

— ¿Qué has hecho durante todo este tiempo?

Félix, con una hostilidad involuntaria, respondió:

— Lo sabes.

Y entonces desearon volver a mezclar todos sus sentimientos. La época de la separación se acortaba cada vez más, rápidamente. Pero no se decían nada. Se sentían bien juntos, y basta.

— Mira: ¡llueve!

Miraron juntos la lluvia, casi con los mismos ojos; y luego Félix dijo, como para hacer una comparación irónica:

— ¿Recuerdas cuando nos mojábamos durante horas?

Y ambos desearon que lloviese; porque necesitaban saber que no se separarían demasiado pronto. Félix había estado a punto de casarse. Rafael lo sabía y pensaba en eso con un estremecimiento de curiosidad. Pero Félix no quería hablar de eso; porque aún amaba. Y Rafael, en cambio, sufría porque Félix no quería hablar. Por fin, preguntó:

— ¿Por qué no te casaste?

Félix le apretó la mano y le dijo:

— Algún día lo sabrás.

El otro lo miró.

— ¿Quieres saberlo en seguida? Contigo no puedo hablar con calma.

— Pero, ¿realmente la has querido?

Félix podía decir la verdad, pero sintió que tenía que responder que no. Tenía que hablarle de esa mujer obedeciendo no a la verdad sino a lo que en ese momento le diese placer. Y le parecía, por esto, que era más bueno con su amigo.

— Yo — dijo Rafael — seguí llevando la vida que alguna vez tú también llevaste conmigo.

Y también él mintió, porque le desagradaba contar la verdad. Ambos debían disimular. Ahora, la amistad que había entre ellos les molestaba realmente: era como una sorpresa de su conciencia. Sentían que, de haber permanecido siempre juntos, habrían vivido de otro modo. Pero el pasado les pareció igualmente dulce y tan íntimo. La lluvia seguía, cada vez más fuerte; como si hubiese tenido prisa en destruir todos los recuerdos que formaban sus sentimientos. Rafael trató de cambiar de conversación:

— ¿Es hermosa la ciudad en que estás ahora?

Pero Félix pensaba demasiado en su amor, y por eso no respondió. Ya no lograba olvidarlo; y se irguió, palideciendo. Rafael dijo:

— ¡Yo también sufro!

— ¡Cómo nos ocurre lo mismo! Sé que tú también has amado.

— Pero traté de vencerme a mí mismo.

— ¿Y por qué no me contaste nunca nada?

— Porque me hablabas de ti mismo, y yo no quería decirte que yo también era como tú.
— ¿Exactamente como yo?

Se echaron a reir. Luego Rafael dijo:

— Es mejor hablar de otra cosa.

— No podemos.

El café donde estaban se llenaba de gente, que entraba para resguardarse de la lluvia. Los dos grandes espejos que adornaban las paredes reflejaban la gente y las mesas; como si también ellos hubieran vuelto a hacer algo; lo que siempre debían hacer. Como eran los espejos de un café, parecían tener la función de atender sin tardanza a la gente. Algunos jóvenes entraron en la sala de billar, y poco después se oyeron los golpes de las bolas. En una mesa, cubierta con un pequeño tapiz verde, se jugaba a las cartas; en otra, fumando, otros parroquianos hojeaban los diarios. A lo largo de las paredes pintadas de blanco había bancos cubiertos de terciopelo rojo. Había en el café una cierta alegría un poco apagada.

Félix dijo, con una alegría algo nerviosa:

— Si yo me hubiese casado, no habría vuelto a Roma.

El amigo respondió, como ante una bravuconada:

— Habría venido yo a buscarte.

Félix replicó con una pregunta, como hablando quién sabe de qué países lejanos:

— ¿Hasta Bologna?

Entonces le tomaron el gusto a la conversación, aunque con cierto recelo:

— Por supuesto: a veces habría tenido modo de venir. Pero, ¿quién es, entonces, esa mujer con la que te querías casar? ¿Una princesa?

De golpe, entonces, sintieron que la voz cambiaba:

— Tú también la has conocido.

El amigo, instintivamente, se vengó:

— Tú también has conocido a la mía.

Se rieron los dos, aunque con un cierto miedo. En ese momento era seguro que se dirían el nombre. Sentían que estaba mal; pero Félix no se retuvo:

— Se llama Inés.

Rafael tuvo un sacudón de rabia; y dijo en voz baja:

— ¿Era Inés?

— Ella misma.

Rafael quería reirse y no podía. Siguió vengándose, en cambio, casi balbuceando:

— ¿Y no te dijo nunca que yo estaba enamorado de ella, antes de venir a Bologna?

Pero Félix era más indulgente.

— Nunca.

Luego se pasó una mano por los ojos, y dijo:

— Ahora me parece una alucinación.

Rafael callaba, exasperado y doliente.

— Tendríamos que ir a verla juntos. Sé que está en Roma.

— Vamos ya mismo a buscarla.

— Pero, antes, contémonos todo.

Era como si se ayudasen a volver a verla juntos; era como si la amasen juntos, sin pensar en quitársela el uno al otro.

Félix se sentía culpable; y permanecieron un momento sin poder hablarse y ni siquiera mirarse. Creían incluso que debían romper su amistad; y cada uno pensaba en Inés según como le había parecido. Pero ninguno de los dos se imaginaba que Inés hubiese ido de uno al otro sólo por el capricho de hacerse amar por dos amigos tan sinceros entre ellos. Ella ya había calculado que no sería ni de uno ni del otro.

Pero también ella, más que por coquetería, había querido hacer este experimento con una cierta seriedad; casi con el deseo de complacerlos a ambos, justamente, porque se querían. Cuando comprendía que el sentimiento verdaderamente la comprometía, encontraba el modo de alejarse; y todo, para ella, se quedaba en una especie de amistad un poco sensual; sin que ella quisiese darse cuenta de que los dos jóvenes se habían dejado atrapar por un sentimiento mucho más profundo y de otra naturaleza. Por ultimo, se había arrepentido; y deseaba no volver a verlos. Era rubia y delgada; y hermosa cuando sonreía.

Ahora, allí, en ese café, a donde la gente entraba empapada por la lluvia, ellos competían, silenciosamente, en defenderla y en odiarla al mismo tiempo. Rafael dijo:

— ¿Logras entender por qué ha actuado así con los dos?

— No lo sé; pero no me hables de eso.

Félix se sentía, de pronto, lleno de celos. Y cuando llegaba a convencerse de que ella no lo había amado más que a Rafael, sufría. Iría a buscarla, pero solo; para hacerse amar y para arrebatársela al amigo. Pero habría querido arrebatársela incluso del recuerdo; y eso no era posible.

También Rafael tenía el mismo derecho; por lo que se sentía furioso y ridículo. Hubiera deseado que sólo se tratase de un sueño morboso. Rafael sentía su amor propio todo trastornado; se consideraba el más traicionado, y por eso era el que más odiaba a Inés. Aun si, contra su voluntad, le gustaba pensar que él la había amado antes que Félix.

Mirando a la gente de las otras mesas, creyeron que se estaban burlando de ellos. Se detuvieron, por esto, a mirar las bocas que sonreían, los gestos y los movimientos.
Pero Félix preguntó:

— ¿Qué culpa tenemos entre nosotros?

Rafael habría querido responderle mal; pero sentía que no podía; y, a pesar suyo, tuvo que ser bueno también él. Y respondió:

— Ninguna.

— ¿Por qué, entonces, no nos hablamos más?

— Creo que hemos pensado las mismas cosas.

No lograban, sin embargo, mirarse a los ojos, porque estaban furiosos; y bastaba con que callasen un poco para que su resentimiento volviese a dominarlos. Ambos se sentían a merced de la misma cosa malvada y desagradable. Querían expulsarla, rápido; y no era posible.

— ¿Volverás a hablarle alguna vez?

Rafael fue presa de un gran deseo de ser sincero, que lo agitaba todo.

— Nunca.

— Yo tampoco.

Y, mirándose a los ojos, comprendieron que ambos se sentían afligidos hasta lo más profundo, que ambos querían sacarse del alma esa culpa involuntaria. Entonces Rafael dijo:

— Vamos juntos a mi casa, y quememos todo lo que conservamos de ella: cartas, flores, fotografías, los libros que nos regaló… ¿Quieres?

Félix no quería haberla amado en vano. Pero consintió.

Pagaron y salieron; bajo el mismo paraguas. Primero Félix pasó por el hotel en que tenía las valijas; y recogió todo lo que tenía de Inés.

En casa de Rafael pusieron todo junto; sobre una mesita. Félix trataba de no mirar más; y lo dejaba hacer al otro. Pero ya tampoco el otro tenía fuerzas; y las lágrimas le humedecían los ojos. Hubiera querido que fuese Félix el que echase todo aquello en la chimenea; que ardía como si esperase para hacer más grande la llama.

— Cojamos lo que está sobre la mesita con nuestras manos juntas.
Félix obedeció; pero, al contacto de las manos de Rafael, apartó las suyas; con aversión. El otro se dio cuenta, y trató de darse prisa. Las cartas y los libros comenzaron a flamear, tras haber hecho un humo denso que salía de la estufa.

— ¿También las fotografías?

— También.

Las vieron entre las llamas, como si hubiesen ido a refugiarse entre las páginas aún intactas. Luego, tras haberse tensado por el calor, se doblaron; se volvieron irreconocibles; se quemaron, casi sin llamas. Los libros, con las páginas comidas por el fuego, se aplastaban cada vez más, abriéndose e incinerándose.

No habían apartado los ojos de la chimenea; se sentían demasiado cerca el uno del otro.

Y cuando se miraron a la cara, sus miradas estaban llenas de odio violento.

Félix, entonces, se puso el sombrero y salió; porque ambos se avergonzaban de no tener la fuerza de matar.

Traducción de Carlos Cámara

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